DISATTENZIONE

16.04.2024

LE LETTURE DEL MATTINO

 Condividiamo il breve brano "La disattenzione può consumarci tutta l'esistenza" di Jon Kabat-Zinn tratto dal libro "Riprendere i sensi"


Al di là della presenza dello stress e del dolore in ogni parte della mia vita, la motivazione che mi spinge a praticare la consapevolezza è piuttosto semplice: ogni momento che mi perdo è un momento che non vivo. 

Ogni momento che non vivo rende più probabile il fatto che manchi di vivere anche il momento successivo, che lo passi intabarrato nell'abitudine inconsapevole a pensare, sentire e agire in automatico, invece che a vivere immerso, motivato e guidato dalla consapevolezza. Succede di continuo, a quanto vedo. Il pensiero al servizio della consapevolezza è il paradiso; il pensiero in assenza di consapevolezza può essere l'inferno. Perché l'assenza di consapevolezza non è semplicemente innocente, insensibile, pittoresca o sprovveduta: il più delle volte è attivamente nociva per se stessi come per gli altri con cui entriamo in contatto o condividiamo la vita, che ne siamo coscienti o no. Fra l'altro, quando ci esponiamo di tutto cuore alla vita e prestiamo attenzione ai particolari, la vita stessa è di un interesse travolgente, è rivelatoria, suscita uno stupore reverenziale.

Se sommiamo tutti i momenti persi vediamo che la disattenzione può davvero consumarci tutta l'esistenza e può caratterizzare praticamente ogni nostra azione e ogni scelta che facciamo o non facciamo. E per questo che viviamo, per mancare la nostra vita, per fraintenderla? Io preferisco entrare nell'avventura tutti i giorni con gli occhi aperti e prestare attenzione alle cose più importanti, anche se di tanto in tanto mi ritrovo davanti alla debolezza dei miei sforzi (quando penso che siano « miei »), alla tenacia delle mie abitudini e dei miei automatismi più radicati (quando penso che siano « miei »). Trovo utile andare incontro a ogni momento con freschezza, come a un nuovo inizio; trovo utile tornare di continuo alla consapevolezza del momento presente e lasciare che la disciplina della pratica generi una perseveranza delicata ma ferma che mi mantenga aperto, almeno un po', a tutto quel che si presenta, che me lo faccia contemplare, imparare, osservare a fondo, e che mi insegni tutto ciò che posso imparare quando la natura della situazione mi si svela perché le ho prestato attenzione. 

Quando si fa così, che altro resta da fare? Se non siamo radicati nel nostro essere, se non siamo radicati nella presenza vigile non ci stiamo perdendo, in realtà, il dono della nostra stessa vita e l'opportunità di essere realmente di beneficio agli altri? 

Mi è utile ricordare a me stesso di chiedere al mio cuore, ogni tanto, che cosa sia davvero importante, in questo preciso istante, e ascoltare molto attentamente la risposta. 

Per dirla con le parole di Thoreau alla fine di Walden: « Albeggia e nasce soltanto il giorno che accogliamo da svegli ».  


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